La leggenda del Piave
Una delle canzoni patriottiche più note in Italia – e una delle pochissime che ancora si ricordano praticamente tutti – è la “Leggenda del Piave”. Fu scritta negli ultimi giorni di guerra e divenne famosa soprattutto negli anni successivi al conflitto. Nonostante il successo durato decine di anni, l’autore, Giovanni Ermete Gaeta, un compositore e poeta dialettale napoletano, non ci guadagnò quasi nulla, perché la SIAE non gli riconosceva i diritti d’autore del “Piave”, considerando il testo come “inno nazionale” (anche se non ebbe mai ufficialmente questa qualifica) e quindi proprietà statale.
Gaeta nacque a Napoli nel 1884, sin da giovane era appassionato di musica e di poesia e studiò i rudimenti della teoria musicale da autodidatta, cominciando a suonare il mandolino. Nel 1902 vinse un concorso per impiegato postelegrafico e cominciò a lavorare a Bergamo, in Lombardia. Negli anni scrisse anche poesie, articoli e saggi critici, firmandosi con lo pseudonimo che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita: E. A. Mario. Nel 1903 Gaeta ottenne il trasferimento a Napoli e nel 1915, all’inizio della guerra, ottenne di prestare servizio nella posta militare, incaricato di trasportare la corrispondenza per il fronte.
Nel novembre 1917, dopo lo sfondamento austriaco a Caporetto, la linea del fronte si era attestata sul fiume Piave. Nel giugno 1918 l’Austria provò a sferrare il colpo definitivo: l’offensiva iniziò il 15 giugno, ma l’esercito italiano riuscì a fermarla e il 22 giugno la “battaglia del Solstizio” (come la chiamò il poeta Gabriele D’Annunzio) era terminata con la vittoria italiana. In quei giorni Gaeta era al lavoro in un ufficio postale, e gli vennero “dal cuore”, come raccontò lui stesso, tre strofe che scrisse di getto sui moduli di servizio interno: «Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il 24 maggio».
La prima strofa si riferiva all’inizio della guerra, il 24 maggio 1915. La seconda alla disfatta di Caporetto: «Ma in una notte triste si parlò di tradimento / e il Piave udiva l’ira e lo sgomento». Allora si riteneva che il successo austriaco fosse stato dovuto al tradimento di un reparto italiano; nel dopoguerra si scoprì che quel reparto, in effetti, aveva resistito ma era stato distrutto, e la parola “tradimento” venne sostituita da “fosco evento”. La terza strofa, infine, si riferiva alla battaglia del Solstizio e alla vittoria italiana.
Raffaele Gattordo, napoletano nato nel 1890, era un cantante amico di Gaeta: si esibiva con il nome d’arte di Enrico Demma e mentre si trovava al fronte in un reparto di bersaglieri cominciò subito a cantare “La leggenda del Piave” del suo amico. I versi patriottici e ricercati, la soddisfazione per la grande battaglia vinta, la musica orecchiabile a tono di marcia fecero sì che in brevissimo tempo la canzone divenisse molto popolare fra le truppe. Il comandante supremo dell’esercito, il generale Armando Diaz, mandò a Mario un telegramma di congratulazioni: «La vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale».
Il 9 novembre 1918, cinque giorni dopo la fine della guerra, Gaeta aggiunse la quarta e ultima strofa: «Indietreggiò il nemico sino a Trieste, sino a Trento / e la vittoria sciolse le ali al vento». Anche dopo la guerra, la “Leggenda del Piave” rimase popolarissima e venne eseguita il 4 novembre 1921 all’inaugurazione del monumento al milite ignoto, al Vittoriano di Roma.
Fonte: ilpost.it 24 maggio 2015 Bruno Crevato-Selvaggi